La CEDU su rifiuto di riconoscimento come genitori di figlio nato da maternità surrogata (CEDU, sez. III, sent. 18 maggio 2021, ric. n. 71552/17)

La Corte Edu si pronuncia sul caso riguardante la sig.ra XXXXX, la sig.ra. XXXXX e X: le prime due ricorrenti avevano fatto ricorso alla maternità surrogata negli Stati Uniti e da tale pratica era stato generato X, privo di legami biologici con entrambe le donne, alle quali era stato opposto il rifiuto di riconoscimento quali genitori del bambino, in quanto per la legge islandese ‘madre’ è la donna che ha partorito e la maternità surrogata è vietata. Nonostante tale rifiuto, tuttavia, X era stato affidato ininterrottamente alla cura delle due donne, sin dalla sua nascita. Questo ha consentito alla Corte Edu di intravedere “vita familiare” tra i ricorrenti,
sì da poter esaminare il caso alla luce dell’art.8 della Convenzione.
I Giudici di Strasburgo hanno ritenuto non arbitraria, né irragionevole la decisione della Corte Suprema secondo cui, poiché nessuna delle due ricorrenti aveva dato alla luce X, nessuna delle due potesse essere considerata madre di X, ai sensi della legge islandese. Pertanto, il rifiuto di riconoscere le prime due ricorrenti come genitori di X aveva una base giuridica sufficiente nel diritto interno. Per quanto riguarda la necessità della misura in una società democratica, la Corte ha tenuto conto del “margine di apprezzamento” riconosciuto agli Stati in questo settore e del fatto che l’effettivo godimento della vita familiare non era stata mai impedita o interrotta nel caso specifico dei ricorrenti. Al contrario, le autorità avevano dato in affidamento X (al quale avevano anche concesso
la cittadinanza) alle prime due ricorrenti ed avevano mantenuto aperta la possibilità di adozione congiunta durante il matrimonio. In breve, lo Stato aveva adottato misure per salvaguardare la vita familiare dei ricorrenti.
Alla luce di quanto sopra, la Corte ha riconosciuto che lo Stato aveva agito, nell’ambito del suo margine di apprezzamento, con l’obiettivo di proteggere il divieto di maternità surrogata previsto dal diritto interno. Non vi era stata, pertanto, nessuna violazione del diritto dei ricorrenti al rispetto della vita familiare.

Redazione Autore