La rimozione di bandiere di minoranze lede il diritto alla libertà di espressione (CEDU, sez. IV, sent. 27 aprile 2021, ric. nn. 15976/16 – 50461/17)

La CEDU si è pronunciata sul diritto alla libertà di espressione nella causa in cui il ricorrente, un parlamentare rumeno, è stato sanzionato per aver esposto le bandiere dei paesi Szkler e del territorio Partium sull’edificio del Parlamento. Per il governo il ricorrente non ha mai richiesto l’autorizzazione per l’esposizione di tali bandiere. Il ricorrente ha invece sostenuto che il governo ha del tutto ignorato le realtà storiche affermando che tali bandiere non sono da considerarsi pubblicitarie, ritenendo altresì che tale qualificazione sia degradante ed offensiva per i membri di quei gruppi etnici. Inoltre ha affermato che in una società democratica la libertà di espressione non può essere soggetta ad alcuna autorizzazione preventiva. La Corte ha osservato che il ricorrente con il suo gesto ha inteso dimostrare la sua appartenenza ad una minoranza nazionale. Nel verbale della contravvenzione è stato evidenziata la violazione di una disposizione di legge secondo la quale il posizionamento di materiale pubblicitario senza autorizzazione per la pubblicità temporanea costituisce una violazione della stessa. Per i giudici di Strasburgo l’esposizione della bandiere è da ritenersi estranea al contesto della pubblicità commerciale, ricordando anche come debba essere operata la distinzione tra annunci a scopo commerciale da quelli destinati a contribuire ad un dibattito pubblico su una questione di interesse pubblico o da pubblicità politica. Innanzitutto la Corte ha evidenziato come i tribunali non hanno fornito esempi di attività tangibili sulla base dei quali qualificare le bandiere come pubblicitarie. Successivamente ha affermato che in mancanza di un esame approfondito questi non sono stati in grado di determinare la natura del messaggio che il richiedente ha voluto trasmettere. Ritenendo dunque che i giudici nazionali non hanno fornito motivi pertinenti e sufficienti a giustificare l’interferenza con il diritto alla libertà di espressione del ricorrente, la Corte ha ritenuto che l’interferenza non era necessaria in una società democratica. Di conseguenza vi è stata una violazione dell’art. 10 Conv.

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