Lo sfruttamento lavorativo dei migranti e il vulnus ai diritti umani fondamentali

Lo sfruttamento lavorativo rappresenta oggi la scelta adottata da numerose imprese, a scapito della manodopera migrante, al fine di eludere in maniera illegittima i costi della propria attività produttiva all’interno di un mercato sempre più agguerrito e concorrenziale. A livello internazionale ed europeo può risultare arduo comprendere se tali forme di abuso siano inquadrabili all’interno della fattispecie del trafficking o della cosiddetta “schiavitù moderna”, dati i labili confini tra le stesse. Tuttavia, fondamentale risulta il contributo dato negli ultimi anni dal Comitato per i diritti umani e, in particolare, dalla Corte di Strasburgo: pur mantenendo una differenziazione dal punto di vista ontologico, tali organismi qualificano entrambi i fenomeni come gravi violazioni dei diritti umani fondamentali, nella misura in cui viene attuata una “mercificazione” del lavoratore.

D’altra parte, la risposta dell’ordinamento nazionale allo sfruttamento lavorativo ha compiuto nel tempo significativi passi in avanti, giungendo all’emanazione della legge n. 199/2016: si è posto in luce come non soltanto l’intermediatore, ma anche e soprattutto il datore di lavoro, approfittando dello stato di bisogno della forza lavoro migrante, debba essere sanzionato per la propria condotta, contraria agli stessi principi costituzionali.

Nonostante i progressi riscontrati a livello legislativo e giurisprudenziale, scopo della presente analisi è sottolineare la necessità di un improcrastinabile cambio di rotta: interventi strutturali di lungo periodo dovrebbero infatti allontanarsi da un’ottica meramente repressiva e, attraverso un approccio multisettoriale, interessare soprattutto il profilo della responsabilizzazione delle filiere produttive, tramite l’adozione di un vero e proprio “codice di condotta” cui attenersi. Quest’ultimo potrebbe essere modellato secondo il Commonwealth Modern Slavery Act 2018 australiano, che, al pari di altri strumenti normativi europei, si sta rivelando proficuo non soltanto dal punto di vista economico ma, in particolar modo, in un’ottica stringente di tutela della dignità individuale, troppo spesso tacitamente violata.

Nowadays labor exploitation represents the choice made by several enterprises, at the expense of migrant workforce, in order to unlawfully bypass their own manufacturing costs within an increasingly competitive and fierce labor market. At international and European level it may be hard to figure out whether such forms of abuse have to be included within the offence of trafficking or under the umbrella of the so called “modern slavery”, considering that their boundaries are not well clear-cut. However, the input provided by the Human Rights Committee and, particularly, by the Strasbourg Court is significant: although maintaining a distinction from the ontological point of view, such bodies have been regarding both phenomena as serious violations of fundamental human rights, as far as a “commercialization” of the worker is carried out.

On the other hand, the national system response to labor exploitation has moved forward during the years, leading to the enactment of law n. 199/2016: it has been properly highlighted that not just the mediator, but also and above all the employer should be deemed responsible for his own conduct, contrary to the very constitutional principles.

Despite the progresses made at legislative and jurisprudential level, the aim of the current analysis is pointing out the necessity of an urgent change of course: long term structural measures should indeed drift away from a merely repressive perspective and, by means of a multisector approach, concern above all the responsibility of the production chains, through the adoption of a proper “code of conduct” they should abide by. Such code may be modelled after the Australian Commonwealth Modern Slavery Act 2018, which, as other European regulatory instruments, is proving to be fruitful not only from an economic point of view but, especially, with a strict view towards the protection of individual dignity, too often tacitly infringed.