La CEDU sulla libertà di espressione (CEDU, sez. IV, sent. 6 aprile 2021, ric. n. 10783/14)

La Corte Edu si pronuncia sul caso di un uomo politico bulgaro, condannato per teppismo e multato per aver posizionato un berretto di Babbo Natale ed una borsa rossa, con la scritta “dimissioni” sulla statua del signor Dimitar Blagoev il giorno di Natale. Il signor Blagoev è stato il fondatore del Partito
socialdemocratico, che aveva operato durante il regime comunista in Bulgaria ed ha continuato a operare come Partito socialista bulgaro. L’azione si è svolta nel contesto delle proteste a livello nazionale contro il governo, sostenuto in Parlamento da una coalizione il cui principale membro era, appunto, il Partito socialista bulgaro. La statua del signor Blagoev era stata precedentemente dipinta da persone non identificate in rosso e bianco in modo da assomigliare a Babbo Natale e dipinta a spruzzo con le parole “Father Frost”. La sanzione inflitta nel procedimento per teppismo contro il ricorrente non era di natura penale, la multa era stata di importo piuttosto modesto e non aveva comportato gravi conseguenze negative per il ricorrente stesso. Tuttavia, nel caso di specie, gli effetti pratici ed in particolare pecuniari sul ricorrente non potevano essere l’unico criterio per valutare se avesse subito uno “svantaggio significativo”. Era stato giudicato colpevole e sanzionato per un atto, a suo avviso, qualificabile quale legittimo esercizio del suo diritto alla libertà di espressione su una questione di interesse pubblico. Si trattava, pertanto, di una questione di principio, anche perché il caso aveva ricevuto un’ampia copertura mediatica e suscitato un dibattito pubblico in Bulgaria. Tali circostanze hanno indotto i Giudici Edu a ritenere che “il rispetto dei diritti umani così come definiti nella Convenzione” imponesse un esame nel merito della domanda. Ebbene, si è convenuto che il comportamento che aveva portato alla condanna del ricorrente potesse essere considerato quale esercizio della libertà di espressione ai sensi dell’articolo 10 § 1: il ricorrente, con il suo gesto, aveva inteso prendere parte alla protesta politica in atto contro il governo in carica, andando a deridere il fondatore del partito politico che lo sosteneva ed invitando alle dimissioni. La sua condanna e la conseguente multa avevano costituito un’interferenza con il suo diritto alla libertà di espressione che era stata “prescritta dalla legge” e perseguita nel legittimo scopo di proteggere i “diritti degli altri”. Né vi era traccia di un rischio per la “sicurezza pubblica”, trattandosi di una azione del tutto pacifica e priva di idoneità a causare disordini pubblici (né vi erano elementi per desumere che le autorità lo avessero sanzionato avendo ritenuto sussistere tali aspetti). In termini di proporzionalità, la sanzione inflitta al ricorrente era stata la più blanda possibile, in base alla disposizione legale che era stata ritenuta violata: ed infatti, il ricorrente era stato condannato a pagare una sanzione amministrativa pari a EUR 51, pagamento effettuato immediatamente e apparentemente senza alcuna difficoltà; nessuna registrazione dell’accaduto nella sua fedina penale.
La domanda saliente era, quindi, se fosse stata del tutto giustificata la decisione di sanzionare l’operato del ricorrente. Come si è visto, l’ “espressione” del ricorrente aveva riguardato una questione di interesse pubblico, che in linea di principio gode di una protezione rafforzata. La
giustificazione per limitare i canali attraverso i quali le persone e le organizzazioni possono esprimere sé stessi, dovrebbe essere ancora più forte quando l’ “espressione” in questione consista, in tutto o in parte, in un comportamento, come nel caso in esame. Tuttavia, al ricorrente non era
stato impedito di avvicinarsi al monumento e di appoggiarvi il berretto e il sacco, ma solo in seguito era stato sanzionato per averlo fatto. I monumenti pubblici sono spesso fisicamente unici e fanno parte del patrimonio culturale di una società. Misure intese a dissuadere dal compiere atti idonei a distruggerli o danneggiarne l’aspetto fisico, potrebbero, pertanto, essere considerate “necessarie in una società democratica”, per quanto legittime possano essere le motivazioni che potrebbero aver ispirato tali atti. Tuttavia, il ricorrente non aveva posto in essere alcuna forma di violenza e non aveva in alcun modo danneggiato fisicamente il monumento, né vi erano elementi per ritenere che il ricorrente avesse in qualche modo coordinato le sue azioni con le persone non identificate che in precedenza avevano dipinto la statua. In tali situazioni, la natura precisa dell’atto, l’intenzione che era dietro di esso ed il messaggio che cercava di trasmettere non possono essere indifferenti. Per esempio, atti intesi a criticare il governo o le sue politiche, o a richiamare l’attenzione sulla sofferenza di un gruppo svantaggiato, non possono essere equiparati ad atti calcolati per offendere il ricordo delle vittime di un’atrocità di massa. Il significato sociale del monumento in questione, i valori o le idee che simboleggiava e il grado di attaccamento ad esso della comunità, rappresentano elementi di considerazione altrettanto importanti. Nel caso di specie, l’intenzione dietro l’atto del ricorrente era stata quella di protestare contro il governo in carica ed il partito politico che lo aveva sostenuto, nel contesto di una protesta prolungata a livello nazionale contro quel governo, e non già la condanna del ruolo storico dell’onorevole Blagoev o l’espressione di disprezzo nei suoi confronti. Il ricorrente aveva semplicemente usato il monumento di Blagoev come simbolo del partito politico che intendeva criticare, e quindi difficilmente si potrebbe ritenere che il suo atto avesse voluto mostrare disprezzo per valori sociali radicati. Pur potendo ammettersi che il gesto simbolico del ricorrente sia stato percepito come offensivo da alcune persone, la libertà di espressione è applicabile anche a “informazioni” o “idee” che abbiano offeso, scioccato o disturbato qualcuno. Di qui la conclusione (con sei voti contro uno) secondo cui la condanna del ricorrente e la conseguente multa non sono stati “necessari in una società democratica”, nonostante il margine di apprezzamento di cui godono le autorità nazionali in questo campo.

Redazione Autore