La CEDU su inefficace implementazione delle norme sulla circolazione stradale (CEDU, sez. I, sent. 25 marzo 2021, ric. n. 35983/14)

La Corte Edu si pronuncia sul caso di un uomo, parente dei ricorrenti, morto in un incidente stradale provocato da D.M., che, in stato di ebrezza, aveva attraversato un incrocio nonostante il semaforo rosso. Questi fu condannato ad un periodo di reclusione di due anni, scontandone poco più di metà (quattordici mesi), nonostante avesse una storia di plurime violazioni delle norme sulla circolazione stradale ed una serie di procedimenti per guida in stato di ebbrezza pendenti contro di lui anche al
momento dell’incidente. I ricorrenti hanno adito la Corte Edu, denunciando la violazione degli obblighi positivi derivanti dall’art.2 in capo alle autorità nazionali, asserendo che è compito dello Stato porre in essere tutte le
misure idonee a cercare di evitare incidenti stradali, misure di dissuasione e prevenzione, volte ad imporre il rispetto delle norme sulla circolazione stradale, al fine di ridurre i rischi di comportamenti pericolosamente imprudenti o sconsiderati nel traffico stradale. Il quadro giuridico interno prevedeva misure preventive adeguate a garantire la sicurezza pubblica
e a ridurre al minimo il numero degli incidenti stradali. Tuttavia, occorreva verificare se tale quadro normativo avesse avuto una efficace implementazione pratica. Il comportamento di D.M. dimostrava un disprezzo intenzionale o sfrenato per la sicurezza degli altri che aveva superato la semplice negligenza: nei dodici anni precedenti l’incidente, gli erano state contestate ben trentadue violazioni del codice della strada, per cui le autorità avrebbero avuto buone ragioni per considerarlo un delinquente seriale. Ciononostante, la sua patente di guida era stata
temporaneamente ritirata solo due volte per brevissimi periodi di tempo e, per altre violazioni, era stato punito con piccole multe o semplicemente con un rimprovero; dieci procedimenti per reati minori contro di lui si erano interrotti per prescrizione o trattamento improprio del caso da parte della polizia. Al momento dell’incidente, peraltro, come già ricordato, era perseguito per guida in stato di ebbrezza ed un giudice nazionale aveva ritenuto sufficiente la multa come sanzione, senza necessità di ritiro della patente di guida. Ecco, dunque, che sebbene le autorità nazionali avessero adottato alcune misure contro D.M., era mancato un approccio generale volto a creare un efficace deterrente alle sue continue gravi violazioni delle norme sulla circolazione stradale, che avrebbe richiesto misure ben più incisive, come l’annullamento della patente di guida o la confisca per un periodo di tempo più lungo, imponendo la rieducazione alla circolazione e trattamenti terapeutici per l’abuso di alcolici e sostanze stupefacenti. L’adozione di tali misure sarebbe stata in linea con quanto previsto nel quadro normativo nazionale di riferimento e con gli standard approvati dal governo, nonché con quelli stabiliti nei pertinenti documenti internazionali. Pur non potendo ipotizzarsi che, nel caso di specie, la morte non si sarebbe verificata se le autorità avessero agito diversamente, ai fini dell’accertamento della violazione del diritto alla vita del parente dei ricorrenti rilevano i molteplici fallimenti delle autorità nazionali a diversi livelli nell’adottare misure adeguate contro la continua condotta illecita di D.M. I Giudici di Strasburgo hanno così riconosciuto la responsabilità dello Stato per violazione degli obblighi positivi derivanti dall’art. 2 Cedu, per non aver fatto tutto quello che era ragionevole aspettarsi per assicurare l’efficace funzionamento nella pratica delle misure preventive previste, al
fine di garantire la sicurezza pubblica e ridurre al minimo il numero di incidenti stradali. Inoltre, è stata riconosciuta anche l’inadeguatezza della pena inflitta a D.M. per aver causato la morte del parente dei ricorrenti e la ritardata esecuzione di tale sentenza. Il codice penale, per questa ipotesi, prevedeva la possibilità di infliggere una pena detentiva da tre a dieci anni. Tuttavia, il giudice aveva scelto di ricorrere alla possibilità prevista dal pertinente diritto interno di imporre una pena inferiore al minimo consentito dalla legge, condannando il reo a due anni di reclusione. In tale
valutazione, tuttavia, il giudice non aveva minimante considerato le plurime violazioni del codice della strada da parte di D.M., sicché l’attenuazione della pena al di sotto del minimo legale non sembrava essere avvenuta dopo un attento esame di tutte le circostanze del caso. Infine, pur essendo prevista dalla legislazione nazionale di riferimento la possibilità di un rinvio dell’esecuzione della pena, solo in circostanze eccezionali, non era del tutto chiaro il motivo per cui l’esecuzione della sentenza di D.M. fosse stata rinviata di un anno, un ritardo irragionevole e ingiustificato, anch’esso non conforme agli obblighi dello Stato ex art. 2 Cedu.

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