La CEDU su obblighi di protezione di minori, ‘potenziali’ vittime di tratta (CEDU, sez. IV, sent. 16 febbraio 2021, ric. nn. 77587/12 e 74603/12)

La Corte Edu si pronuncia sul caso di due cittadini vietnamiti, minori all’epoca dei fatti, sorpresi dalla polizia a lavorare in fabbriche di cannabis ed accusati di essere occupati nella produzione di droga. All’epoca, diversi rapporti nazionali avevano rilevato nel Regno Unito la particolare vulnerabilità dei bambini vietnamiti, esposti alla tratta di esseri umani ed allo sfruttamento in tali fabbriche. Ad ogni modo, i ricorrenti non furono immediatamente deferiti per la valutazione come potenziali vittime di tratta, accertamento operato dall’autorità competente solo in un secondo
momento. Il Crown Prosecution Service (CPS) non aveva, tuttavia, condiviso tale valutazione, sicché era stata consentita la prosecuzione del processo, nell’ambito del quale entrambi i ricorrenti si erano dichiarati colpevoli delle accuse mosse nei loro confronti e, quindi, condannati. Inutile il successivo appello contro la sentenza di condanna. La presente causa è stata la prima occasione in cui la Corte Edu è stata chiamata a considerare se e quando un caso riguardante il perseguimento di una (potenziale) vittima di tratta possa sollevare una questione ai sensi dell’articolo 4 (Proibizione della schiavitù e del lavoro forzato). Pur dovendosi escludere una preclusione assoluta circa il promovimento di azioni penali nei
confronti di vittime della tratta di minori, si riconosce che perseguire (potenziali) vittime di tratta potrebbe, in determinate circostanze, essere in contrasto con il dovere dello Stato di adottare misure operative di protezione delle medesime, laddove le autorità siano a conoscenza, o dovrebbero essere a conoscenza, di circostanze idonee a dare luogo ad un fondato sospetto che un individuo sia stato oggetto di tratta. Affinché l’azione penale nei confronti di una (potenziale) vittima di tratta sia rispettosa delle libertà garantite dall’articolo 4 della Convenzione, fondamentale importanza è data alla tempestiva identificazione dei soggetti. Nel momento in cui le autorità hanno avuto (o avrebbero dovuto avere) contezza delle circostanze fondanti il sospetto che un individuo accusato di aver commesso un reato potrebbe essere stato oggetto di tratta o sfruttamento, tali elementi dovrebbero essere prontamente valutati da personale formato e qualificato, sulla base dei criteri individuati in ambito internazionale, con particolare riguardo al fatto che la minaccia della forza e/o della coercizione non è richiesta ove l’individuo in questione sia un minore. Inoltre, poiché lo status di una persona come vittima di tratta potrebbe influenzare la valutazione circa l’esistenza di prove sufficienti per perseguirla penalmente, nonché circa la rispondenza all’interesse pubblico del procedere in tal senso, qualsiasi decisione al riguardo dovrebbe, per quanto possibile, essere adottata solo dopo che persone qualificate abbiano effettuato una valutazione della possibile configurazione di una ipotesi di tratta di essere umani, tanto più in caso di minori. Una volta effettuata tale valutazione, qualsiasi successiva decisione del pubblico ministero deve
tenerne conto e, nel caso, recare una adeguata motivazione di un eventuale disaccordo circa la valutazione operata dall’autorità competente, ovvero circa l’insussistenza di un nesso tra il reato commesso dal minore e la tratta. Nulla di tutto questo è accaduto nel caso di specie. Di qui la conclusione (all’unanimità) che lo Stato non aveva adempiuto al suo dovere, ai sensi
dell’articolo 4, di adottare misure operative in linea con gli standard internazionali per proteggere i ricorrenti, né inizialmente, come potenziali vittime di tratta, né successivamente, come persone riconosciute dall’autorità competente come vittime di tratta. La mancata indagine sullo status dei ricorrenti come potenziali vittime di tratta ha avuto ripercussioni sull’equità generale del procedimento penale, in violazione, altresì, dell’art.6 § 1.

Redazione Autore