La decisione resa al caso di specie ha ad oggetto il ricorso del Sig. Ramazan, di professione avvocato, il quale adiva la Corte EDU lamentando la violazione dell’art. 10 della Convenzione. Stando ai fatti rappresentati il ricorrente, detenuto presso l’istituto penitenziario di Silivri per esser sospettato di aver commesso i reati di appartenenza a un’organizzazione terroristica e di propaganda a favore della stessa organizzazione, aveva avanzato richiesta di accesso a Internet e, nella specie, ai siti istituzionali del Tribunale, della Corte costituzionale e della Gazzetta Ufficiale, al fine di ottenere informazioni strettamente inerenti la propria difesa e quella di altri imputati. L’istanza di accesso veniva rigettata dapprima dall’amministrazione penitenziaria e poi a seguire dal giudice dell’esecuzione, dalla Corte di Assise e, finanche, dalla Corte costituzionale, ritenendo quest’ultima il ricorso inammissibile in quanto la domanda presentata dal Sig. Ramazan concernente parzialmente la materia del diritto al lavoro non ricadeva, ratione materiae, nell’ambito di applicazione del ricorso individuale. Il motivo del rigetto da parte delle autorità nazionali si era invece fondato sulla ritenuta non pertinenza (inappropriée) della richiesta rispetto alla disciplina regolamentare, la quale prevede che l’uso di strumenti e attrezzature informatici sia autorizzato solo nell’ambito di programmi di formazione e di reinserimento, e sotto stretta sorveglianza dell’amministrazione penitenziaria stessa. Simile diritto, si stabilisce ancora, incontra restrizioni qualora il condannato presenti una certa pericolosità o appartenga ad una organizzazione illegale. Per parte sua, il ricorrente aveva invocato la violazione del suo diritto di ricevere informazioni, eccependo come non vi fosse alcun pericolo per la sicurezza e l’ordine dell’istituto né plausibilmente fondata gli appariva la reiezione della sua domanda. I giudici di Strasburgo, hanno preliminarmente inquadrato la fattispecie giuridica e ribadito come l’accesso a Internet sia da ritenere un vero proprio diritto per l’importanza che esso riveste ed assume per la vita delle persone. Ciononostante, hanno osservato però come dalla detenzione derivino alcune restrizioni alla libertà di comunicazione del detenuto nonché a quella di ricevere informazioni dall’esterno. A questa stregua, il menzionato art. 10 CEDU non va interpretato, ha affermato la Corte, nel senso dell’esistenza di un obbligo generale di permettere ai detenuti l’accesso a Internet o a siti specifici. Nel caso di specie, il negato accesso ad Internet ha costituito, tuttavia, un’interferenza con l’esercizio del diritto del ricorrente a ricevere informazioni, poiché il diniego non è stato adeguatamente motivato, ma soprattutto insufficientemente dimostrato è stato il pericolo per la sicurezza che sarebbe stato corso in caso di fruizione delle informazioni tratte dai suddetti siti. Per tale circostanza, la Corte EDU ha ritenuto violato l’art. 10 della Convenzione nella misura in cui la limitazione imposta dalle autorità nazionali non è apparsa necessaria “in una società democratica”.
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