Crisi migratoria e “porti chiusi”: ancora un vulnus ai diritti umani dei migranti

Scopo del saggio è quello di analizzare le misure di contenimento dei flussi migratori attuate negli ultimi anni, a livello nazionale, al fine di valutarne la compatibilità con il diritto internazionale del mare e con diritti umani dei migranti. L’indagine prende le mosse dal recente caso della nave “Sea Watch 3” che ha portato alla luce il problema della legittimità dei c.d. “porti chiusi”, politica inaugurata dal governo italiano nell’ultimo anno e che di recente ha assunto una veste giuridica, grazie all’entrata in vigore, il 15 giugno 2019, del c.d. “decreto sicurezza-bis”. Dopo averne arguito la sostanziale illegittimità alla luce delle norme del diritto internazionale del mare, si passa a mettere in luce anche il  rischio di violazione del divieto di refoulement e del diritto di asilo. Le problematiche in esame sono il frutto, in gran parte, della mancanza di una risposta univoca al problema migratorio sia a livello internazionale sia a livello dell’Unione europea. Le istituzioni europee vivono infatti, su queste tematiche,  una impasse decisionale, soprattutto in relazione alla riforma del “Sistema Europeo Comune di Asilo” (c.d. “SECA”). Come conseguenza, alcuni Stati membri, in particolare quelli più esposti ai flussi migratori, approfittando della mancanza di risposte comuni, tendono ad agire in autonomia, adottando provvedimenti volti ad arginare i flussi, come la chiusura dei porti, sulla cui legittimità si è detto. Si desume, in conclusione, la necessità di un decisivo cambio di rotta. Per uscire davvero dalla crisi migratoria sono necessarie azioni più lungimiranti che, da un lato, contemplino finalmente l’aspetto della integrazione e della regolamentazione anche delle migrazioni c.d. “economiche” e, dall’altro, arrivino a creare sistema europeo comune di protezione internazionale, con una procedura unica di trattazione della domanda, una redistribuzione dei richiedenti effettiva, non emergenziale e ad istituire canali di accesso legali in Europa, tramite, ad esempio, la creazione di visti umanitari.


The purpose of the paper  is to analyze the measures to contain migratory flows, implemented in recent years at national and European Union level, in order to assess their compatibility with the human rights of migrants. The analysis starts from the recent case of the “Sea Watch 3” ship that brought to light the problem of the legitimacy of the so called “closed ports”, a policy inaugurated by the Italian government in the last year and which has recently taken a legal form, thanks to the entry into force, on 15 June 2019, of the so called  “security decree-bis”. After having deduced the substantial illegitimacy in the light of the norms of the International Law of the Sea, it goes on to highlight also the risk of violation of the prohibition of refoulement and the right to asylum.  The issues under consideration are largely the result of the lack of a clear response to the migratory issues both from an international and an European point of view. The European institutions in fact, for some time now, are experiencing an “impasse” of the decision-making process on these matters, especially with regard to the reform of the Common European Asylum System (so called “CEAS”). As a consequence, some Member States, particularly those most exposed to migratory flows, taking advantage of the lack of common responses, tend to act autonomously, adopting measures to stem the flows, such as the closure of ports, on whose legitimacy it has been said. In conclusion, it’s necessary a decisive change of course. To really get out of the migration crisis, more far-sighted European actions are needed, that on one side have to deal with integration and  regulation of the so called “economic migrants” and, on the other,  they have to create a real “Common European Asylum System”, characterized by a single procedure for dealing with the asylum applications and by an effective redistribution of migrants and to establish legal access channels to Europe, for example, through the creation of humanitarian visas.