La CEDU sulla proibizione della tortura (CEDU, sez. I, sent. 26 settembre 2019, ric. n. 65970/12)


Con il caso Dziunkwski la Corte EDU si pronuncia sulla proibizione alla tortura sancita dall’articolo 3 della Convenzione, disposizione ritenuta violata del richiedente nel momento del suo arresto, nel gennaio 2011. La Corte ribadisce che sono vietati in termini assoluti la tortura e i trattamenti inumani o degradanti. Sottolinea tuttavia che i maltrattamenti, per poter rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 3, devono raggiungere un livello minimo di gravità. Naturalmente, la valutazione di questo minimo è relativa e dipende da tutte le circostanze del caso, come la durata del trattamento, gli effetti fisici e mentali, il sesso, l’età e lo stato di salute della vittima. Nei confronti di una persona privata della sua libertà, il ricorso alla forza fisica che non è stato reso necessario dalla propria condotta, diminuisce la dignità umana ed è una violazione del suddetto articolo. Nel caso in esame, il trattamento è stato ritenuto dai giudici di Strasburgo “disumano” in quanto premeditato e “denigrante” perché tale da suscitare nella vittima sentimenti di paura e di angoscia. I giudici tengono però a precisare che affinché una punizione o un trattamento ad essa associato siano considerati “disumani” o “degradanti”, la sofferenza o l’umiliazione in questione deve andare, in ogni caso, oltre all’inevitabile elemento di sofferenza o umiliazione connesso ad una determinata forma di trattamento o di punizione legittima

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