Diniego della revoca di dimissioni dalla carica parlamentare (CEDU, sez. II, sent. 21 maggio 2019, ric. n. 58302/10)

La Corte Edu si pronuncia sul caso di una senatrice che, dopo aver presentato le dimissioni dal mandato parlamentare, aveva tentato di revocarle, asserendo che le fossero state estorte dietro minaccia da parte di due membri del suo partito. Secondo la ricorrente, invero, tali dimissioni erano da considerare nulle, ai sensi dell’articolo 1109 del codice civile belga, in quanto firmate con la forza, ma secondo il Servizio giuridico del Senato tali dimissioni erano entrate in vigore in modo irrevocabile dal momento della consegna della lettera al Presidente del Senato. Inutile l’esperimento delle vie giudiziarie interne. Di qui la decisione della ricorrente di adire la Corte Edu lamentando la violazione dell’art.3 del Protocollo n.1.
La Corte ricorda, preliminarmente, che i diritti garantiti dall’articolo 3 del Protocollo n. 1 sono fondamentali per stabilire e preservare le basi di una democrazia fondata sullo Stato di diritto. Tale disposizione, precisa la Corte, implica diritti soggettivi, tra cui il diritto di candidarsi alle elezioni, che non si riduce alla mera possibilità di partecipare alle elezioni come candidato, bensì, comprende, una volta eletto, anche il diritto di esercitare il mandato medesimo. Non si tratta, ad ogni modo, di diritti assoluti, essendoci spazio per “limitazioni implicite”, in relazione alle quali gli Stati contraenti godono di un ampio margine di valutazione. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto di non dover verificare se le dimissioni fossero state rassegnate liberamente ovvero estorte, risiedendo punto rilevante della vicenda nell’esistenza di una disputa sulla validità delle dimissioni presentate. In altri termini, la Corte è stata chiamata a valutare se la decisione del Senato di accettare le dimissioni del richiedente come senz’altro immediatamente valide, nonostante la ricorrente avesse in numerose occasioni dichiarato che esse erano state estorte con minacce e che, invece, era suo desiderio continuare ad espletare il mandato parlamentare, costituisse una violazione dell’art. 3 del Protocollo n. 1. La Corte ribadisce che in altri casi relativi a tale disposizione aveva sottolineato che il processo decisionale riguardante l’ineleggibilità o la contestazione dei risultati elettorali deve essere accompagnato da un minimo di garanzie contro arbitri e ritiene che ciò è necessario anche nel caso in cui sorga una controversia in merito alle dimissioni di un deputato che desideri ritirarle o argomentarne la non validità ai sensi del diritto nazionale. A tale riguardo, la Corte considera anzitutto che il potere decisionale dell’ente che emette la decisione non può essere totalmente discrezionale e deve, con un livello di precisione sufficiente, essere circoscritto dalle disposizioni della legge nazionale. Il principio dello Stato di diritto implica l’obbligo per gli Stati di istituire un quadro legislativo al fine di rispettare gli obblighi derivanti dalla Convenzione in generale e dall’art.3 del Protocollo n. 1 in particolare.
Nella presente causa, la Corte constata che al momento degli eventi in questione né la legge, né le norme del Senato prevedevano una procedura per i casi di ritiro delle dimissioni di un senatore. In particolare, la Corte nota che, contrariamente a quanto sostenuto dal Governo, non era chiaro se le dimissioni dovessero considerarsi autoapplicative, irrevocabili da subito ovvero irrevocabili a partire dal momento dell’approvazione da parte dell’assemblea plenaria.
L’assenza di una regolamentazione conduce, così, la Corte a ritenere che il potere autonomo di apprezzamento del Senato non fosse circoscritto da disposizioni del diritto nazionale sufficientemente precise.
In secondo luogo, la procedura stessa deve essere tale da consentire alle persone interessate di esprimere il loro punto di vista e di evitare qualsiasi abuso di potere da parte dell’autorità competente. In questo caso, il Regolamento del Senato prevedeva che l’ufficio fosse chiamato a verificare i poteri del successore della ricorrente e quindi, indirettamente, la legittimità delle dimissioni della ricorrente: tuttavia, né il ricorrente, né il suo avvocato sono stati ascoltati dal Senato, né la ricorrente è stata invitata a presentare le sue argomentazioni per iscritto prima dell’adozione della decisione, né è stata fornita alcuna motivazione in merito ai motivi di rigetto della sua tesi. Pertanto, in considerazione di tutte le circostanze del caso, la Corte ha ritenuto che le dimissioni dall’ufficio di senatore fossero state accettate dal Senato in assenza di disposizioni normative sufficientemente precise e senza garanzie procedurali contro rischi di arbitrarietà, con conseguente lesione dei diritti garantiti dall’articolo 3 del Protocollo n. 1.

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