La Corte costituzionale, con le sentt. nn. 185 e 186 del 2023 torna a pronunciarsi sulla legittimità
dell’obbligo di vaccinazione anti-Covid 19. In entrambe le pronunce rileva, preliminarmente, che
le norme sottoposte al vaglio di costituzionalità devono necessariamente essere analizzate tenendo
conto della peculiarità delle condizioni epidemiologiche esistenti al momento dell’introduzione
dell’obbligo vaccinale – e, in particolare, della gravità e dell’imprevedibilità del decorso della
pandemia – nonché delle conoscenze medico-scientifiche allora disponibili.
In questa prospettiva, i giudici costituzionali hanno sottolineato (sent. n. 185) che l’imposizione
dell’obbligo vaccinale per categorie predeterminate di soggetti – e, precisamente, tutti gli esercenti
le professioni sanitarie diversi dagli operatori sanitari, quali gli iscritti nell’Albo dei Chimici e dei
Fisici – rappresenta una scelta non irragionevole, mossa dall’esigenza, da un lato, di garantire
linearità e automaticità all’individuazione dei destinatari, così da consentire un’agevole e rapida
attuazione dell’obbligo e, dall’altro lato, di determinare con certezza i soggetti la cui libertà di
autodeterminazione venga compressa nell’interesse della comunità. Tale scelta, anche sulla scorta
del dato comparato, non risulta ovviamente l’unica possibile. E lo stesso legislatore italiano, nella
prima fase della pandemia, ha adottato un modello che, pur individuando in determinate categorie i
destinatari dell’obbligo vaccinale, lo ha delimitato in modo tale da rapportarlo al concreto
svolgimento dell’attività lavorativa. D’altra parte, con l’evolvere delle criticità della situazione
sanitaria, qualsiasi sistema improntato all’identificazione di carattere individuale, in base alla
rispondenza di determinati requisiti e, in particolare, alla tipologia dell’attività lavorativa degli
appartenenti alla professioni sanitarie, avrebbe infatti comportato un aggravio – che il legislatore ha
reputato insostenibile in termini di tempi, costi e utilizzo di personale altrimenti impiegabile su
fronti più urgenti – nella fase dell’individuazione in concreto dei destinatari dell’obbligo, tramite
l’accertamento, caso per caso, della rispondenza ai requisiti richiesti, oltre che nella successiva fase
di monitoraggio e controllo della loro perdurante sussistenza. La scelta dell’imposizione
dell’obbligo vaccinale per categorie è, altresì, da considerarsi proporzionata, anche in ragione della
sua strutturale temporaneità (cfr. Corte cost., sent. n. 15 /2023). Su tali presupposti, la Corte
costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità sollevate.
Non è fondata (sent. n. 186) neppure la questione di legittimità costituzionale sollevata in
riferimento all’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’irragionevolezza della generale imposizione
dell’obbligo vaccinale senza distinzioni legate alle concrete modalità di svolgimento dell’attività
lavorativa (nella specie, la dipendente, con qualifica di assistente amministrativo, aveva lavorato in
smart working dal 20 settembre 2021 fino al 31 dicembre 2021. Successivamente era stata sospesa
dal servizio a causa dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale). Anche in quest’ultimo caso la
Corte costituzionale ha ribadito, infatti, la legittimità dell’obbligo vaccinale e della sanzione della
sospensione dal lavoro in caso di inadempimento, riportando le motivazioni già espresse in sede di
pronuncia della precedente sent. n. 185. Qualsiasi sistema improntato ad una identificazione di
portata meno generale e di carattere individuale, in base alla rispondenza di determinati requisiti o,
come richiesto dal giudice a quo, in considerazione delle specifiche modalità di svolgimento
dell’attività professionale, avrebbe comportato un aggravio – che il legislatore ha reputato
insostenibile in termini di tempi, costi e utilizzo di personale altrimenti impiegabile su fronti più
urgenti – nella fase dell’individuazione dei destinatari, oltre che di monitoraggio e controllo, per
l’accertamento, caso per caso, della rispondenza ai requisiti richiesti (e alla loro perdurante
sussistenza). La scelta legislativa si è fondata, non irragionevolmente, sulla rilevante criticità della
situazione sanitaria, nella quale tutte le risorse di personale e organizzative dovevano essere
finalizzate alla gestione dell’emergenza pandemica, sicché il sistema avrebbe mal tollerato, in capo
alle amministrazioni datrici di lavoro, un’attività di cernita (a monte) e controllo (a valle) delle
singole professionalità (e della loro conservazione nel tempo) (ancora sentenza n. 185 del 2023). Le
misure adottate non risultano neppure sproporzionate, in quanto si inseriscono in un adeguato
quadro normativo caratterizzato dalla portata della conseguenza dell’inadempimento dell’obbligo
vaccinale – rappresentata dalla sospensione del rapporto lavorativo priva di conseguenze di tipo
disciplinare – e dalla natura transitoria dell’imposizione dell’obbligo vaccinale nonché dalla sua
rigorosa modulazione in stretta connessione con l’andamento della situazione pandemica (sentenze
n. 185, n. 15 e n. 14 del 2023). La Corte ha ritenuto, dunque, non fondata la questione di legittimità
costituzionale sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’irragionevolezza della
generale imposizione dell’obbligo vaccinale senza distinzioni legate alle concrete modalità di
svolgimento dell’attività lavorativa.