La Corte Edu si pronuncia sul caso di tre cittadini turchi (Yıldız Akbay, Hakki Soytürk e Dervıs Usul), il primo ed il terzo residenti a Berlino, il secondo detenuto a Großbeeren (Germania) al momento della presentazione della domanda. I tre asserivano di essere stati condannati per traffico di droga a causa di una trappola ordita ai loro danni dalla polizia, attraverso l’istigazione a delinquere posta in essere da un poliziotto sotto copertura. Si è costituita innanzi alla Corte Edu la moglie del primo ricorrente, deceduto nel giugno 2015, vantando un interesse morale a ristabilire la reputazione del marito defunto dopo la sua condanna ingiustificata. I Giudici di Strasburgo colgono l’occasione per ribadire che, se è comprensibile la fermezza con cui le autorità degli Stati contraenti affrontano quanti contribuiscono alla diffusione della piaga della droga, resta il fatto che, anche nella lotta al traffico di droga, l’uso di agenti e informatori sotto copertura deve essere limitato e devono essere messe in atto tutte le necessarie misure di salvaguardia dei soggetti coinvolti, atteso che il diritto a un’equa amministrazione della giustizia ha una rilevanza tale che non tollera alcuna compressione per motivi di opportunità. La Corte si è proposta, in primo luogo, di verificare se vi sia stata, effettivamente, nel caso di specie, una istigazione a delinquere, ovvero fosse stata ordita una trappola ai danni dei ricorrenti da parte della polizia ed in caso positivo, se il successivo utilizzo delle prove ottenute in tal modo nel
procedimento penale contro gli interessati ponesse problemi in relazione all’art. 6 § 1. A tal fine, la Corte ricorda che l’istigazione ricorre quando gli agenti coinvolti – siano essi membri delle forze di sicurezza o persone che agiscono sulla base di loro istruzioni – non si limitano a indagare su attività criminali in modo essenzialmente passivo, ma esercitano un’influenza sul punto, tale da incitare la commissione di un reato, che altrimenti non sarebbe stato commesso, al fine di rendere possibile l’accertamento del reato, cioè fornire prove ed avviare un procedimento penale. La logica alla base del divieto di istigazione della polizia è che è compito della polizia prevenire e indagare sul crimine e non incitarlo. Al fine di distinguere l’istigazione o la trappola della polizia dall’uso di tecniche legittime sotto
copertura nelle indagini penali, per decidere se l’indagine fosse “essenzialmente passiva” o meno, la Corte analizza le ragioni alla base dell’operazione segreta ed il comportamento delle autorità che
la eseguono. Fondamentale è l’esistenza di sospetti oggettivi circa il coinvolgimento del ricorrente in attività criminali o la sua predisposizione a commettere un reato. Nel tracciare il confine tra la legittima infiltrazione della polizia e l’istigazione a delinquere, fondamentale nella giurisprudenza
Edu è, anche, la verifica di eventuali pressioni subite dal ricorrente per commettere il reato. Nell’applicare i criteri di cui sopra, la Corte pone l’onere della prova sulle autorità. Spetta all’accusa provare che non vi è stato alcuna istigazione, a condizione che le accuse dell’imputato non siano del tutto improbabili. La Corte ha sottolineato in tale contesto la necessità di una procedura chiara e prevedibile per l’autorizzazione degli atti investigativi, nonché per il loro controllo adeguato, indicando nella supervisione giudiziaria il mezzo più appropriato in caso di operazioni segrete. Alla luce dei fatti di causa e di tali criteri interpretativi, la Corte ha concluso che i reati dei primi due ricorrenti non sarebbero stati commessi se non ci fosse stata l’influenza delle autorità: essi, sono stati, quindi, incitati dalla polizia a commettere il reato di droga di cui sono stati successivamente condannati. Al fine di determinare, poi, se il processo fosse stato equo, i Giudici di Strasburgo hanno dovuto verificare se i tribunali nazionali avessero tratto dalla circostanza acclarata dell’istigazione a
delinquere e della trappola posta in essere dalla polizia, le relative deduzioni, in conformità con la Convenzione, in particolare interrompendo il procedimento, escludendo qualsiasi prova ottenuta attraverso e grazie alla trappola. La Corte osserva che nella presente causa, la Corte regionale non aveva né interrotto il procedimento, né escluso alcuna prova, bensì solo ridotto la pena di due ricorrenti in modo considerevole. Di qui la conclusione che i procedimenti nazionali non avevano soddisfatto i requisiti dell’art. 6 § 1 in relazione ai primi due ricorrenti (che si erano occupati di far arrivare la droga al porto di Bremerhaven e poi farla uscire dal porto stesso). Non anche, tuttavia, in ordine al terzo ricorrente, condannato per aver accettato di ritirare la droga in un appartamento a Bremerhaven e trasportarla a Berlino: la Corte ha ritenuto, infatti, che la sua partecipazione e le sue attività non potessero essere considerate determinate dal comportamento della polizia, che non aveva esercitato pressioni su di lui direttamente, bensì su coloro questi aveva accettato di aiutare.