La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (sia nel testo originario sia nel testo modificato dall’art. 3, comma 1, del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87) nella parte in cui prevede un meccanismo “rigido” e “uniforme” di determinazione dell’indennità spettante al lavoratore ingiustamente licenziato. La disposizione censurata contrasta anzitutto con il principio di eguaglianza, sotto il profilo dell’ingiustificata omologazione di situazioni diverse. La tutela risarcitoria prevista dalla disposizione denunciata prevede quale unico parametro di calcolo l’anzianità di servizio, senza tener conto di una pluralità di fattori ulteriori che consentono di valorizzare le peculiarità delle vicende dei licenziamenti intimati dal datore di lavoro. La norma impugnata contrasta anche con il principio di ragionevolezza, sotto il profilo dell’inidoneità dell’indennità a costituire un adeguato ristoro del concreto pregiudizio subito dal lavoratore a causa del licenziamento illegittimo e un’adeguata dissuasione del datore di lavoro dal licenziare illegittimamente. Dall’irragionevolezza dell’articolo 3, comma 1, del d.lgs. n. 23/2015 discende anche il vulnus recato agli articoli 4, primo comma, e 35, primo comma, della Costituzione che qualificano il diritto al lavoro come diritto fondamentale, cui il legislatore deve guardare per apprestare specifiche tutele. La disposizione censurata viola, infine, gli articoli 76 e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’articolo 24 della Carta sociale europea, secondo cui, per assicurare l’effettivo esercizio del diritto a una tutela in caso di licenziamento, le parti contraenti si impegnano a riconoscere “il diritto dei lavoratori, licenziati senza un valido motivo, a un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione”.
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